Sulla magia della luce nel paesaggio. Intervista ad un poeta della visione.
International Fotofestival di Turnhout, Belgio 2002.
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Sedere dietro una scrivania come impiegato di banca non era il destino che il buon Dio aveva in mente per Claudio Marcozzi. Allora dipingeva, ed era molto attratto dalla luce prepotente delle tele di Van Gogh e Monet. In seguito si dedicò anche alla satira politica, ma il suo interesse per la fotografia cresceva sempre più, fino al punto in cui decise di cambiare vita. Attualmente è un fotografo professionista indipendente e completamente autodidatta. Vive a Porto San Giorgio, sessanta chilometri a sud di Ancona, tra il mare Adriatico e uno dei paesaggi collinari più belli d’Italia. A pochi chilometri c’è il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, e poi l’Umbria e la Toscana. La selezione di immagini di paesaggio in mostra a Turnhout è solo un singolo ma importante aspetto del suo lavoro: il suo vasto archivio, oltre ai paesaggi italiani e di vari stati europei, contiene anche molto reportage sociale, turistico, tradizioni popolari e ricerche personali. Nei workshop che tiene regolarmente, professionisti e fotoamatori apprendono soprattutto il controllo della luce nel paesaggio, perché è proprio in questo che è maestro. Nelle sale del Paters Pand dove è esposta la sua mostra faccio un giro davanti alle fotografie e sono completamente catturato da quello che vedo. Claudio ha portato con sé anche una piccola scatola che contiene, ben presentati come in un forziere, dei gioielli in cibachrome 10×15.
“Niente computer, è tutto reale” risponde alla mia domanda se ci siano interventi di Photoshop. E poi continua: “Un paesaggio è come un ritratto. Non scappa via, ma cambia in continuazione”. L’inconscio degli esseri umani percepisce, i colori, le forme, le linee, i simboli e le vibrazioni che provocano emozioni. Tutte queste cose insieme contribuiscono a formare l’impressione totale del paesaggio. Marcozzi cerca di registrare quello che proviamo per esempio quando camminiamo la mattina presto, quando vediamo il sole sorgere attraverso la nebbia, quando respiriamo l’aria fresca e sentiamo il feeling di una perfezione che non sappiamo descrivere. Una perfetta simbiosi tra la nuda realtà e l’emozione che essa sprigiona.
”Un paesaggio è sempre diverso, cambiano i colori, cambiano le luci. Bisogna osservare il paesaggio molto scrupolosamente. Io cammino per ore, a volte giorni, prima di scegliere un posto da fotografare, poi aspetto la situazione giusta, oppure torno un altro giorno o in un altra stagione. Poichè non possiamo sistemare le luci noi stessi dobbiamo aspettare, con la speranza che arrivino momenti speciali, quei magici momenti in cui la luce è come se l’aveste piazzata voi, e spesso durano pochi secondi. Andando a caccia di atmosfere in questo modo, non c’è nessun bisogno di manipolare, né col computer, né in camera oscura. Si tratta solo di osservare e sentire quello che vediamo, il paesaggio vivente e lo spirito che c’è dentro. La combinazione di questi due elementi è qualcosa di metafisico”
Non c’è altro da aggiungere. Uno che è in grado di descrivere con poche parole un argomento astratto come questo è uno che sa con precisione quello che fa. È chiaro che pittori come Van Gogh e Monet lo abbiano influenzato, essi dipingevano le sensazioni create dal paesaggio. I colori sembrano schizzare fuori dalle fotografie, come nei quadri di Van Gogh. Le sue immagini trasmettono anche l’altra dimensione del paesaggio, a quelli che sono in grado di farci attenzione. Non è una cosa facile da descrivere, osservate i suoi lavori, concentratevi su quello che state vedendo e sulle emozioni che questo provoca in voi, perché sono proprio queste che Marcozzi ha fotografato.
Jurriaan Nijkerk, DEFOTOGRAAF 5/2002, Amsterdam