Quante sono le stagioni per Marcozzi? Certamente assai più delle quattro canoniche, dal momento che le sue immagini ce ne propongono tante versioni attraverso una tavolozza cromatica in cui tripudiano tutte le possibili sfumature dell’arcobaleno.
Sul filo delle memorie incantate dell’infanzia, il fotografo affronta il tema del bosco, e della natura in generale, in termini dichiaratamente impressionistici, dando vita ad immagini in cui la programmatica negazione della nitidezza descrittiva tende a privilegiare quasi esclusivamente gli aspetti coloristici. Quasi che gli alberi, i prati, i fiori, le foglie, rappresentino solamente un motivo contingente, certo necessario ma per nulla sufficiente, destinato a stemperarsi in una appassionata ricerca d’atmosfera.
Tributaria della pittura nella misura in cui rinuncia ad alcuni degli elementi specifici del linguaggio fotografico (la nitidezza della visione ad esempio) la fotografia di Marcozzi, con le sue impalpabili vibrazioni che rimandano ad una evidente musicalità, si inserisce in quell’ampio filone “contemplativo” che mira direttamente alla poesia ed alla rarefatta emozione estetica. Che ciò avvenga attraverso un procedimento molto elaborato sta a testimoniare solo dell’accanita ricerca, da parte dell’autore, di una scrittura che eviti il più possibile esiti casuali, quand’anche intriganti, e che gli consenta, invece, di calibrare ogni effetto, direi ogni “invenzione” cromatica, sulla falsariga di una visione interiore.
Lanfranco Colombo, Milano 1993 (Galleria Il Diaframma – Kodak Cultura)